BUONI FRUTTIFERI POSTALI TRENTENNALI: È LEGITTIMA LA VARIAZIONE IN PEIUS DEI TASSI DI INTERESSE? QUANDO SI PRESCRIVONO?

[Contributo dell’avv. Daniele Mosca]

La tematica afferente ai buoni fruttiferi postali (BFP) risulta ancora oggi di attualità, anche alla luce di un recente intervento delle SS.UU. della Corte di Cassazione che hanno avvalorato l’orientamento oramai ultradecennale che la giurisprudenza ha assunto a far data dalla pronuncia della S.C. a SS.UU. n°13979/2007.

I buoni postali di un tempo (quelli degli anni ottanta, per intenderci) fruttavano davvero molto a chi ne era titolare: soprattutto i buoni ordinari (quelli trentennali) erano capaci di moltiplicare il capitale iniziale, rappresentando per il risparmiatore un ricco investimento. Con il tempo, però, i tassi di interesse sono stati rivisti al ribasso, modificando anche quelli che erano stati promessi ai sottoscrittori iniziali. È, quindi, accaduto che al momento della sottoscrizione lo Stato prometteva un interesse, mentre successivamente, al momento dell’incasso, ne corrispondeva uno notevolmente più basso.

Gli argomenti di maggiore interesse, soprattutto sotto il profilo squisitamente pratico, per gli investitori che si sono trovati e, tutt’oggi, si trovano a possedere tali buoni ordinari sono essenzialmente due: i) la variazione peggiorativa dei tassi di interesse rispetto a quelli pubblicizzati nel retro del documento; ii) la prescrizione dei diritti connessi al possesso del BFP.

Cercheremo, in modo sintetico ma chiaro, di fornire tutti gli elementi utili al fine di delineare un quadro esaustivo delle questioni affrontate.

Il primo aspetto, come detto, riguarda la legittimità della variazione in peius dei tassi di interesse: per rispondere correttamente a tale quesito, è opportuno operare una distinzione tra buoni emessi prima del 13.6.1986 e buoni emessi successivamente a tale data. In generale può affermarsi che tali buoni sono stati tutti contrassegnati con le lettere O, P e Q ed emessi nell’arco temporale andante tra il 17.1983 al 30.7.1984 (serie O); dal 1.7.1984 al 30.6.1986 (serie P) e, infine, dal 1.7.1986 in poi (serie Q). È bene precisare che Poste Italiane ha proseguito a emettere buoni ordinari anche successivamente, sino a tutti gli anni ‘90, ma la materia del contendere con gli investitori ha riguardato soprattutto le sorti dei BFP serie O, P e Q per le ragioni che vedremo.

La più importante variazione del tasso di interesse che i buoni fruttiferi postali hanno subito risale al 1986: in quell’anno, il Decreto ministeriale del 13.6.1986 ha convertito i tassi di interesse della serie “O” e della serie “P” in quelli della serie “Q”, meno vantaggiosi. L’art. 5 ha così statuito: “Sono, a tutti gli effetti, titoli della nuova serie ordinaria, oltre ai buoni postali fruttiferi contraddistinti con la lettera “Q”, i cui moduli verranno forniti dal Poligrafico dello Stato, i buoni della precedente serie “P” emessi dal 1° luglio 1986. Per questi ultimi verranno apposti, a cura degli uffici postali, due timbri: uno sulla parte anteriore, con la dicitura “Serie Q/P”, l’altro, sulla parte posteriore, recante la misura dei nuovi tassi”.

Il successivo art. 6 del suddetto D.M. ha previsto che a tutti i buoni ordinari precedenti alla serie Q, a far data dal 1.1.1987, si applicano i saggi di interesse previsti per la serie Q; solo per i buoni serie P emessi tra 01.01.86 e 30.6.1986, tali interessi si applicano a partire dall’1.7.1987.

Così, mentre un buono fruttifero postale serie “P” prevedeva un tasso di interesse crescente, per scaglioni di detenzione, dal nove al quindici per cento, con la trasformazione in serie “Q” avrebbe previsto un tasso minore dall’otto al dodici per cento.

La variazione del tasso d’interesse dei buoni postali pone il problema dell’applicabilità delle modifiche ai titoli già in circolazione: ad esempio, chi ha sottoscritto un buono ordinario serie “P” potrà chiedere, al momento della riscossione, gli interessi così come stabiliti nella tabella posta a tergo del titolo, oppure si vedrà applicato il tasso minore, così come imposto dalla variazione stabilita dal decreto ministeriale?

In effetti il Legislatore con l’art. 173, DPR n°156/1973, modificato dalla Legge n. 588/74, ha ammesso che l’ente emittente potesse variare i tassi di rendimento, estendendo l’applicabilità delle modifiche peggiorative sopravvenute anche ai buoni già collocati, prevedendo che la tabella presente sul retro degli stessi e indicante lo sviluppo del rendimento dovesse ritenersi integrata con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e con la disponibilità in favore dei titolari dei buoni presso gli uffici postali dei nuovi tassi.

Tuttavia, è accaduto non poche volte che i titoli cartacei non venissero adeguati ai nuovi tassi, lasciando quindi sul retro le vecchie percentuali (quelle antecedenti al giugno 1986). Ne è dipeso un copioso contenzioso che ha trovato composizione a seguito dell’intervento della Corte di Cassazione a SS.UU., con la pronuncia n°13979 del 15.6.2007.

La Corte, trovandosi a deliberare su un ricorso che riguardava BFP emessi nel giugno del 1986 (e, dunque, successivamente all’emanazione di un Decreto ministeriale del 16.6.1984 che aveva variato in senso peggiorativo il tasso di interessi) che erano stati liquidati con il riconoscimento di interessi attivi ad un tasso minore rispetto a quello pubblicizzato dal titolo medesimo.

Il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione può sintetizzarsi nei termini che seguono: se sul retro del buono postale le tabelle sono state aggiornate mediante apposizione del timbro da parte delle Poste, allora è legittima l’applicazione dei nuovi e diversi tassi di interesse per come modificati dall’intervenuto decreto ministeriale; se, al contrario, il titolo riporta ancora la tabella con i vecchi interessi e non risulta alcun timbro, allora il risparmiatore ha pieno diritto al rimborso del capitale ed interessi per come risultanti dal titolo originario. Allo stesso tempo, non è ammissibile applicare un tasso di interesse peggiorativo rispetto a quello pubblicizzato nel retro del titolo anche se introdotto precedentemente alla sottoscrizione.

Quanto enunciato è stato, peraltro, di recente confermato dalla Corte di Cassazione, sempre a SS.UU., con la sentenza n°3963 del 2019.

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La seconda tematica che affrontiamo riguarda la prescrizione dei diritti connessi al possesso dei buoni fruttiferi postali. Sul retro dei buoni viene indicata una prescrizione breve di 5 anni decorrenti dalla scadenza del buono, che inizia a decorrere dal 1° gennaio del 31° anno solare successivo alla sua emissione.

Successivamente, il D.M. 19.2.2000, all’art. 8 ha previsto che: “I diritti dei titolari dei buoni fruttiferi postali si prescrivono a favore dell’emittente trascorsi dieci anni dalla data di scadenza del titolo per quanto riguarda il capitale e gli interessi”.

Per fare un esempio pratico: un buono fruttifero emesso nel 1987 si prescrive con decorrenza dal 1° gennaio 2028 e il titolare di un buono emesso nel 1987 avrà, di conseguenza, la possibilità di ottenere il rimborso fino al 31.12.2027.

 

Avv. Daniele Mosca

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