La società, che finanzia un’impresa di cui conosce lo stato di crisi allo scopo di acquisirne gli asset, non ha diritto alla restituzione delle relative somme.
Siffatta operazione ritarderebbe la dichiarazione di fallimento, a danno dei creditori, e consentirebbe a un’azienda ormai prossima alla “decozione” di restare sul mercato.
In questi termini la Corte di cassazione: “laddove le prestazioni di finanziamento dissimulate, a fronte di forniture né pattuite né eseguite, non si sono esaurite nella mera sovvenzione all’imprenditore già insolvente, ma sono state progressivamente dedotte in un programma di acquisto dei relativi assets, così fungendo il credito da mera leva per l’acquisizione del capitale della società fallita, in danno dei creditori e a detrimento finale della soggettività economica del finanziato, si è in presenza di una prestazione contraria al buon costume – da intendersi in senso ampio, anche con riferimento all’assetto economico – e, come tale, non soggetta a ripetizione ai sensi dell’art. 2035 c.c.“.
Cassazione civile sez. I, 05:08:2020, (ud. 21:07:2020, dep. 05:08:2020), n.16706