COVID-19 E PROFILI DI RESPONSABILITÀ DELLA STRUTTURA SANITARIA: IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA ESIGENZE DI GIUSTIZIA E INIZIATIVE SPECULATIVE

La graduale normalizzazione della società civile, dopo il lungo periodo di lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19, ha inevitabilmente posto in risalto la già di per sé delicata questione della responsabilità sanitaria delle strutture sanitarie pubbliche e private nonché del personale sanitario per i numerosi casi, sin qui registrati, di contrazione del virus da parte dei pazienti ricoverati all’interno delle stesse.

 

È moralmente doveroso premettere che il personale sanitario nel suo insieme è stato costretto ad affrontare un’impresa a dir poco titanica, per portata dell’evento e novità del fenomeno, e ha pagato un enorme tributo, soprattutto in termini di vite umane, per far fronte all’espansione esponenziale dei contagi in un ridottissimo lasso di tempo; in questo contesto critico, l’adozione delle misure di prevenzione da parte delle strutture sanitarie, volta a evitare il contagio di pazienti e del personale sanitario è un tema che pone sullo stesso piano due categorie (paziente/sanitario) sovente in conflitto tra loro: lo stesso sanitario non è più un potenziale soggetto ritenuto responsabile del contagio di un paziente ma diventa esso stesso soggetto danneggiato dall’omessa predisposizione e applicazione dei protocolli di prevenzione e rischio, da parte della struttura sanitaria/datore di lavoro, potendosi configurare, a questo punto, un vero e proprio incidente sul lavoro.

 

La prima parte della presente disamina riguarda la c.d. “infezione nosocomiale”, intesa come contrazione di un’infezione in occasione di un ricovero ospedaliero: il paziente, cioè, contrae l’infezione in occasione della degenza e a causa del mancato rispetto dei protocolli e delle misure di prevenzione.

I danni alla salute derivanti da tale tipologia di infezione sono causalmente riconducibili a una condotta omissiva della struttura sanitaria o del suo personale che, alla luce della segnante riforma introdotta con la legge “Gelli – Bianco” (L. n°24/2017), rispondono nei confronti del paziente, rispettivamente, a titolo di responsabilità contrattuale l’azienda ospedaliera ed extracontrattuale il sanitario, che non abbia stipulato uno specifico contratto con il paziente.

 

La struttura sanitaria, per essere ritenuta esente da responsabilità, dovrà dunque provare di avere predisposto, prima, e adottato, dopo, protocolli idonei a prevenire l’infezione nosocomiale, con il solo limite dell’imprevisto, ossia di un evento imprevedibile e inevitabile, così da escludere l’imputabilità ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Il paziente danneggiato, di contro, potrà limitarsi ad allegare l’intercorso rapporto con la struttura sanitaria (ricovero/degenza) e di aver contratto l’infezione in occasione e conseguenza del ricovero.

 

Nel caso dell’infezione da Covid-19, sarà certo opportuno valutare il rapporto tra protocolli adottati e prevedibilità del fenomeno, dovendosi precisare che la natura eccezionale della pandemia non significa necessariamente che l’evento possa definirsi a priori imprevedibile e inevitabile: ciò a maggior ragione per quelle ipotesi di infezione, che si sono registrate in piena emergenza sanitaria, quando l’intero sistema sanitario aveva già predisposto dei protocolli di prevenzione e rischio (il 22 febbraio il Ministero della Salute ha emanato la prima circolare contenenti norme tecniche per le strutture sanitarie).

Inoltre, rispetto alla generale categoria delle infezioni nosocomiali, quella da Coronavirus ha avuto origine al di fuori dell’ospedale. Pertanto la responsabilità della struttura sanitaria si qualifica come una responsabilità, generalmente, omissiva, per non aver impedito l’ingresso del virus al suo interno e non averne contenuto la diffusione. Ciò ha portato, come detto, anche all’infezione di personale medico oltre che dei pazienti già ricoverati nella struttura stessa, ledendo così il loro diritto alla salute, che doveva essere tutelato dall’Ente mediante strumenti preventivi adeguati.

 

Non meno importante rispetto al profilo dell’imputabilità è l’aspetto del nesso di causalità: accertare cioè se l’infezione da Covid-19 sia stata la causa di patologie degenerative e, nei casi estremi, della morte del paziente. Si è discusso molto del tema delle morti “da corona virus” o “per corona virus”. In effetti, ai fini dell’indagine che qui interessa, quel che rileva è che l’infezione da virus sia avvenuta all’interno della struttura, in occasione di una degenza e che a tale infezione sia conseguito un peggioramento o una condizione di irreversibilità del paziente. Un’indagine del genere richiede, ovviamente, un approfondimento complesso e scientifico che, inoltre, non deve tralasciare di considerare la potenziale esistenza di concause in grado, da sole, di interrompere il nesso di causalità tra l’infezione e la lesione della salute del paziente.

 

Deve registrarsi, poi, che sfortunatamente, a oggi, non ha ancora trovato applicazione un incisivo strumento di tutela del paziente: ci si riferisce all’azione giudiziale diretta anche nei confronti della compagnia assicuratrice della struttura sanitaria; l’art. 10 della legge “Gelli – Bianco” ha introdotto l’obbligo per le strutture sanitarie di dotarsi di una copertura assicurativa per responsabilità civile verso terzi. La norma attualmente è “congelata” poiché non sono ancora stati emanati i decreti interministeriali attuativi che riguardano i requisiti minimi richiesti per le polizze.

 

La seconda parte dello studio riguarda, invece, gli eventuali profili di responsabilità dei sanitari durante la gestione della crisi sanitaria.

Ulteriormente ribadita la riconoscenza morale della collettività nazionale per l’enorme sacrificio del personale sanitario nella gestione dell’evento pandemico e, comunque, sembra sostenibile – almeno allo stato – ipotizzare una responsabilità circoscritta ai soli casi di dolo e colpa grave, ai sensi dell’art. 2236 c.c., commessi da parte di sanitari nel trattamento del Covid-19, atteso che è oggi, come detto, è applicabile la responsabilità extracontrattuale introdotta dalla legge “Gelli – Bianco”.

 

La norma in esame è stata interpretata da parte della giurisprudenza nel senso di limitare l’indagine della condotta del medico all’aspetto della perizia (ossia l’impiego delle conoscenze possedute dall’esperto debitamente qualificato che si è assunto l’incarico), escludendo dal suo ambito gli ulteriori profili della diligenza e della prudenza; dall’altro lato, i giudici hanno ritenuto che possa veramente considerarsi di particolare difficoltà solo il caso che richieda un impegno intellettuale e una preparazione professionale superiori a quelli del professionista medio, come quando si presenti un caso eccezionale e straordinario, per non essere, ad esempio, ancora stato adeguatamente studiato nella scienza e sperimentato nella pratica.

Per tali ragioni, si può sostenere con sufficiente tranquillità che gli operatori sanitari impegnati nella cura dei pazienti affetti da Covid-19 possano beneficiare dell’applicazione dell’art. 2236 c.c.

Depongono, in tal senso, la novità della patologia e la limitatezza attuale delle conoscenze scientifiche (ricordiamo che non esiste un vaccino allo stato).

 

In definitiva, è possibile prevedere che numerose strutture sanitarie, sia pubbliche e sia private (con particolare attenzione alle RSA), possano in un prossimo futuro essere convenute in giudizio per sentire accertare casi di “malpractice” sanitaria mentre sul diverso versante della responsabilità individuale del sanitario, il panorama si presenta meno preoccupante, probabilmente anche in ragione del forte sentimento di riconoscenza per coloro i quali sono stati definiti “i nuovi eroi”.

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