L’esimente del “Covid-19”

L’emergenza epidemiologica è inevitabilmente destinata, una volta esauritesi le proroghe adottate dal Governo, a proiettare i suoi effetti destabilizzanti anche sugli adempimenti di carattere tributario, con particolare riferimento al versamento delle ritenute certificate e dell’IVA.

Nello specifico, il problema che si pone è quello di chiarire cosa accadrà con gli adempimenti tributari, posto che, com’è facile immaginare, lo stato di crisi non cesserà con il venir meno dell’emergenza sanitaria e delle sue misure di contenimento e che, quindi, l’imprenditore si troverà o nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni fiscali o, nella migliore delle ipotesi, innanzi ad una alternativa secca, se adempiere mettendo a rischio l’esercizio della attività di impresa oppure rimanere inadempiente, destinando la provvista all’attività in attesa di tempi migliori, nel contempo salvaguardandone il potenziale occupazionale.

Rischiando di incorrere, in tutte le ipotesi d’inadempimento, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate o in quello di omesso versamento dell’IVA, previsti e puniti rispettivamente dall’art. 10-bis e dall’art. 10 ter D.Lgs. 74/2000 che, è bene ricordare, stabiliscono, nel primo caso, che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta” e, nel secondo caso, che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.

Si tratta di reati propri, l’agente, infatti, può essere solo il soggetto obbligato, di natura omissiva, istantanei e puniti a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di ritenute certificate o di IVA nel momento in cui matura il tempo dell’obbligazione tributaria.

In specie, i delitti di cui agli articoli 10-bis e 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000, risultano di difficile giustificazione sistematica, atteso che, a differenza di altre ipotesi criminose, sanzionano penalmente una condotta trasparente, priva di qualunque connotato di offensività, giacché è il contribuente stesso che fa “emergere” la fattispecie, dichiarando all’Erario i propri debiti.

Stante tale quadro normativo, la giurisprudenza ha quindi cercato di mitigare la rilevanza della responsabilità “oggettiva” (sufficiente a configurare tali reati), contemperando l’omissione del versamento con i concetti di “forza maggiore”, di “assenza di colpa” o di “impossibilità ad adempiere”, idonei ad escludere la sussistenza, in concreto, della condizione di punibilità penale.

In linea di principio, la giurisprudenza ritiene irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine entro il quale effettuare il versamento tributario.

A meno che “l’imputato dimostri, osservando oneri di allegazione e di prova rigorosi, che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale”. (ex multis, Sez. III, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 04/02/2014)

Ed invero, a parte alcune eccezioni, la Cassazione è restia nel dare rilievo in termini di esimente, a situazioni di disagio economico ancorché riconducibile a fattori esterni perché, essendo il soggetto tenuto al versamento, un sostituto di imposta, è tenuto ad accantonare l’IVA, riscossa dall’acquirente del bene o servizio, per poi riversarla, non potendo, dunque, venire in rilievo situazioni di difficoltà seppur non prevedibili.

Ed invece, la forza maggiore, presupposto dell’esimente di cui all’art. 45 c.p., è qualcosa di diverso e di più pregnante, materializzandosi in un evento che non può essere impedito. Esimente, nella specie, invocabile solo laddove derivi da fatti contingenti e imprevedibili non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio.

Dalla definizione, pacificamente accettata, di forza maggiore appare ovvia l’applicabilità della stessa all’attuale emergenza sanitaria da Covid – 19.

Si tratta quindi di vedere se ed eventualmente in quali termini, ciò sia suscettibile di risolutiva valutazione sul versante penalistico.

Rimane, tuttavia, un dato di fatto, la causa di forza maggiore non potrà essere ravvisata dall’organo giudicante nel contagio da Covid e nella conseguente limitazione-interruzione dell’attività aziendale in sé e per sé considerata.

Sarà l’imprenditore-contribuente a dover dimostrare ed allegare in giudizio l’assenza, totale ed oggettiva, della liquidità necessaria per procedere all’adempimento del debito tributario, nonché il permanere di una tale impossibilità pure a fronte dell’attivazione di tutte le iniziative imprenditoriali e personali utili al recupero di tali somme.

D’altro canto, è anche auspicabile che la giurisprudenza, alla luce dell’emergenza legata alla diffusione epidemiologica ed alla conseguente crisi economica mondiale, riesamini criticamente la rigidità della propria posizione in merito al riconoscimento della crisi di liquidità come forza maggiore esimente della responsabilità penale, in caso di omessi versamenti IVA e ritenute oltre soglia.

Le soluzioni giuridiche per arrivare ad una rimodulazione del rigoroso orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di omesso versamento di imposte non mancano e, anzi, si distinguono per varietà e coerenza sistematica.

Non rimane che da vedere quale governo di tali criteri verrà posto in essere in sede di valutazione postuma da parte della magistratura penale che, ad emergenza rientrata, allorquando questa crisi economica sarà auspicabilmente un ricordo, dovrà essere immune dalla tentazione di rendere giudizi asettici e avulsi dalle eccezionali peculiarità del fenomeno ora in corso.

Infatti, in un quadro economico che vede significative alterazioni causate dall’emergenza sanitaria, verrebbe distorta la finalità di prevenire le situazioni di crisi attraverso adeguati sistemi di allerta: gli organi di controllo societari e i creditori istituzionali, tra cui l’Amministrazione Finanziaria, sarebbero costretti a “segnalare” una società che, pur virtuosa in una situazione economica stabile, palesa indicatori anomali cagionati dal contesto economico attuale.

Fermo restando l’obbligo di un’analisi caso per caso, e precisato lo stato “ondivago” della giurisprudenza, un’interpretazione coerente e sistematicamente orientata può militare verso la straordinarietà della congiuntura oggi vissuta, così, da poter ipotizzare che, pur in presenza della violazione degli obblighi di versamento, il contribuente possa godere di una sorta di favor nell’evidenziare la presenza di quelle scriminanti che parte della giurisprudenza configura per ritenere inapplicabili gli articoli 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000.

Ovviamente, si tratta comunque di una tesi che si deve riscontrare con le risultanze fattuali e con le valutazioni soggettive sull’effettiva impossibilità nel caso concreto.

 

Avv. Marco Martorana

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