Prestiti “pericolosi”

[Contributo dell’avv. Marco Martorana]

Le garanzie statali sui prestiti bancari sono un capitolo centrale del decreto “Liquidità”. Capitolo diviso a sua volta in due canali di accesso: la società pubblica Sace (parte del polo Cdp), soprattutto per le imprese più grandi, e il Fondo di garanzia per le Pmi (Mediocredito Centrale e ministero dello Sviluppo) che è più mirato a imprese fino a 499 dipendenti.

Il canale “Sace”. Si prevedono tre fasce. Garanzia statale che copre il 90% del prestito per imprese con meno di 5mila dipendenti in Italia e valore del fatturato fino a 1,5 miliardi. Garanzia all’80% per aziende con fatturato tra 1,5 e 5 miliardi o con più di 5mila dipendenti in Italia. Copertura al 70% per imprese con fatturato oltre 5 miliardi.

Il canale “Fondo di garanzia”. In questo caso la garanzia di base sarà del 90%, per importo massimo garantito di 5 milioni di euro. I finanziamenti avranno durata massima di 6 anni con un importo limitato. Si sale al 100% per finanziamenti fino a 25mila euro, e comunque entro il 25% dei ricavi, destinati non solo alle imprese fino a 499 dipendenti ma anche ai lavoratori autonomi. Per questa categoria di prestiti non c’è valutazione del merito di credito, basta un’autocertificazione sui ricavi.

In tutti quei casi in cui lo Stato non offre una garanzia totale, si pone il problema di una eventuale responsabilità, anche di natura penale, dell’istituto bancario che eroga il prestito.

Lo scenario sarebbe quello, seppur al verificarsi di determinati presupposti di natura giuridica, del possibile concorso della banca nei reati fallimentari dell’imprenditore. Affinché si possa qualificare giuridicamente tale responsabilità occorre far direttamente riferimento al presupposto del concorso di persone nell’illecito penale ex art. 110 c.p.

Non potendo assumere il ruolo di soggetto attivo del reato, nella possibilità di agevolare la condotta tipica dell’imprenditore, la banca può concorrere quale extraneus, allorquando si realizzano i seguenti presupposti: l’evento oggettivo, il nesso di causa tra erogazione del finanziamento e l’evento di danno (ad. es. il fallimento), e che sia individuabile in capo alla banca un preciso elemento soggettivo, da qualificarsi tra la colpa e il dolo in base alla tipologia del reato. In sostanza il concorso del c.d. exrtaneus diventa rilevante quanto contribuisce causalmente ad agevolare la condotta dell’intraneus.

L’erogazione di un finanziamento, nei casi in cui l’azienda sia in una situazione di dissesto, potrebbe destare rilevanza penale quando questa dazione crei i presupposti, ad esempio, per ingannare i soci o il pubblico, permettendo agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti, di esporre nei documenti contabili previsti dalla legge, fatti materiali non rispondenti al vero, alterando la situazione economica patrimoniale dell’azienda, in modo da indurre in errore i destinatari di tali informazioni (false comunicazioni sociali ex art. 2621 c.c.), oppure il predetto finanziamento permetta di aggravare il dissesto aziendale nel ritardo della dichiarazione di fallimento (bancarotta semplice ex art. 217 L.F).

Proprio nella seconda ipotesi indicata, l’addebito di responsabilità in capo alla banca, per aver agevolato la possibilità dell’imprenditore a compiere operazioni di grave imprudenza ex art. 217 comma 1 n. 3, nonché per aver partecipato all’aggravamento del dissesto ai sensi dell’art. 217 comma 1 n. 4 (uniche tipologie ove si ammette il concorso esterno nella bancarotta semplice), può, a parere di chi scrive, integrarsi già nella dimostrazione della violazione dei principi di diligenza professionale, in virtù dell’ammissibilità del reato proprio a titolo di colpa. Gran parte della dottrina in materia, considera infatti ipotizzabile la bancarotta semplice ex art. 217 L.F. n. 3 in presenza di un’operazione di finanziamento volta unicamente a reperire denaro per ritardare il fallimento: operazioni che in situazioni normali sarebbero perfettamente lecite. Secondo tale orientamento la condotta della banca sarebbe sanzionabile quando sia consapevole della situazione di decozione in cui versa l’impresa beneficiaria o possa comunque rappresentarselo. In virtù del fatto che l’ordinamento italiano reputa il fallimento un evento di per sé grave, potrebbe ipotizzarsi l’ipotesi colposa, sia per il soggetto principale (imprenditore), sia per la banca. La rimproverabilità emerge infatti nella violazione della regola cautelare, che si ravviserebbe nell’imprenditore in una sana e corretta gestione d’impresa volta ad evitare pregiudizi ai creditori e ai terzi, nella banca, nei già menzionati principi professionali. L’art. 217 L.F., al comma I n. 3, recita infatti che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente (art. 216 – bancarotta fraudolenta) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento, da cui deriva il danno al creditore del fallito, a cui può ampiamente concorrere il soggetto che ha favorito tale ritardo, amplificando il profilo di danno producibile.

Ecco che allora sarebbe auspicabile, come peraltro rilevato dal direttore generale dell’ABI, Giovanni Sabatini, in audizione innanzi alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, mercoledì 22 aprile, allorquando lo stesso sottolineava come “occorre, in altri termini, evitare che sulle banche e sugli esponenti siano trasferiti rischi che non possono in alcun caso essere riconosciuti come loro propri laddove le misure di sostegno offerte alle imprese in attuazione dei provvedimenti normativi non sortissero gli sperati effetti e le imprese cadessero in stato di insolvenza con possibili conseguenze rispetto alle procedure fallimentari”, colmare le lacune del decreto liquidità con una più puntuale disciplina di esenzione di responsabilità penale della banca che eroga il prestito, ogni qualvolta la stessa si trovi a dovere istruire una apposita pratica ed a valutare le garanzie residuali offerte dal richiedete, entrando quindi nel merito della sua futura solvibilità.

In questo modo, si potrebbero certamente snellire le procedure di finanziamento nei casi in cui è rimasta la valutazione del merito di credito, con conseguente vantaggio per i richiedenti.

Avv. Marco Martorana

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